#Breaking2 è il culmine di un impegno senza precedenti. Una collaborazione tra le menti migliori del mondo e i maratoneti più veloci in assoluto.
“Correre la maratona in meno di due ore è impossibile. Lo sanno tutti. Lo sa la storia. Lo sa la scienza. Lo sa chiunque abbia un po’ di buon senso. È una follia. Nessuno riesce a correre così veloce per tutto quel tempo. Quindi, ci proviamo noi.”
Questo l’annuncio di Nike su Twitter per presentare l’epico tentativo, entrato nella storia dello sport.
Un brand è la propria cultura
È dai tempi di Prometeo – che contese il fuoco agli dei dell’Olimpo – che l’uomo sfida i suoi limiti, materiali o spirituali che siano. Un anelito che lo distingue da ogni altro essere vivente, tormento ed estasi assieme, perché come scrisse Shakespeare:
“Che sublime capolavoro è l’uomo. Quanto nobile nella sua ragione, quanto infinito nelle sue risorse. Quanto espressivo nelle sue movenze, mirabile: un angelo negli atti, un dio nell’intelletto. La bellezza dell’universo mondo, la perfezione del regno animale.”
Correre è stato sempre il modo con cui l’uomo ha espresso il desiderio di superare i suoi limiti. Non è mai solo e soltanto una questione di gambe, è una questione di coraggio, di forza, di passione. Si corre contro l’altro, contro il tempo, ma soprattutto contro se stessi: è quello che ci insegna la storia dell’umanità, traguardo dopo traguardo, ed è ciò su cui l’azienda americana ha puntato.

Mission #breaking2
L’ambizioso piano di Nike, quindi, – correre i 42,195 km della maratona in 01:59:59 o meno – è una vera e propria impresa, da scolpire nel tempo, che rappresenta il compimento ideale di due anni di intenso allenamento in cui tre atleti – i top runners Lelisa Desisa, Zersenay Tadese e Eliud Kipchoge – si sono preparati a far crollare una barriera ritenuta infrangibile. La stessa location scelta – l’autodromo di Monza, il tempio della velocità a quattro ruote – è significativa: al di là delle condizioni climatiche, rivelatesi le migliori, anche nell’automobilismo il limite è posto sempre un passo più avanti, una sfida aperta che unisce uomo e tecnologia.
Ma perché Nike ha pensato di poter fare, in pochi mesi, quello che molti pensavano fosse impossibile per anni, o addirittura decenni?
Prima di tutto perché le risorse dell’azienda lo hanno permesso. E, quando parlo di risorse, non mi riferisco a quelle economiche, ma sopratutto all’esperienza e alla competenza in materia sportiva, con tutto quanto ne deriva. Forte di questo background, Nike ha proceduto in questo modo:
- ha selezionato gli atleti tra centinaia di fondisti: battere il record delle due ore non è per pochi, è per una o due persone al mondo;
- ha studiato l’ambiente: temperatura, umidità, pressione atmosferica e altri dettagli giocano un ruolo fondamentale sulla prestazione;
- ha messo su uno staff di scienziati che ha curato sia la preparazione che la dieta degli atleti;
- ha elaborato l’abbigliamento e le scarpe degli corridori: a questo riguardo, non ci si poteva aspettare meno che la perfezione.
Tanti calcoli e poca emozione? Non proprio perché, come sottolinea il celebre fondista Mike Fanelli, una gara va divisa in 3 parti, correndo la prima con la testa, la seconda con la personalità, la terza col cuore. Superare le barriere è un lavoro che richiede tecnica e tattica, esperienza e talento, ma anche tanta passione.
Scienza e tecnologia: informare per comunicare
Un progetto di ampio respiro, quello di Nike, che ha unito medici e scienziati in un insieme eterogeneo di esperti in genetica, biomeccanica, biogenetica, nutrizione. Per ogni atleta è stata studiata una dieta specifica, sono state analizzate le capacità aerobiche e l’antropometria per ottimizzare le loro abilità nella corsa. Inoltre la tecnologia è intervenuta – attraverso il satellite – per studiare le caratteristiche del clima e confrontarle con quelle di passate edizioni della maratona: ogni possibile reazione del fisico degli atleti è stata valutata e monitorata.

Ultraleggero – 230 grammi – e senza cuciture, con livelli diversi di compressione a seconda della zona del corpo e dei movimenti che svolge. Alle braccia manicotti che riducono la resistenza all’aria, alle gambe nastri con nanorilievi per aumentare l’aerodinamica e ai piedi le nuove Nike Zoom Vaporfly Elite, indiscussa star dell’evento. Uno degli aspetti più rivoluzionari di questa scarpa è l’intersuola ZoomX che – leggera e resiliente – contiene una piastra in fibra di carbonio unidirezionale personalizzata per l’atleta: Nike sottolinea che ZoomX è notevolmente più leggero, più morbido e più sensibile delle schiume tradizionali prodotte finora.
Di corsa verso lo storytelling
#Breaking2 non nasce come una maratona classica: non ci sono stati altri avversari – se non il tempo – e gli atleti sono stati ‘aiutati’ da pacer o lepri: corridori che hanno offerto – in brevi tratti del percorso – la loro ‘scia’, correndo davanti ai protagonisti. Nemmeno nasce con il fine ufficiale di battere un record, che non sarebbe stato, comunque, omologabile. #Breaking2 è, piuttosto, la voglia – folle, ma umana – di rendere possibile l’impossibile e di aprire allo sport un nuovo futuro.
Raccontare un’esperienza che rappresenti innovazione e ispirazione
Il risultato è racchiuso in un video: Eliud Kipchoge ha portato a termine il percorso in 2:00:25, due minuti in meno del record mondiale, ma 26 secondi di troppo per scendere sotto il limite storico. Una sconfitta? Non direi. In questa sfida hanno vinto in due: l’uomo contro se stesso – perdonatemi il romanticismo – e, soprattutto, Nike come brand. In effetti l’unica vera sconfitta sarebbe stata non tentare.
Il focus? Correre è tutto.
Non si tratta di sollevare pesi, né di fare yoga. Semplicemente si va di corsa. “Per correre velocemente è necessario correre”, si dice spesso, con l’atleta sempre al centro. Perché ognuno si riconosca nella prova: anche se tutti siamo molto diversi, infatti, ogni programma di lavoro di qualunque runner, a qualsiasi livello, è in continuo adattamento per l’evoluzione delle conoscenze.

Ogni azienda è una media company
I brand creano entertainment quando riescono a catturare l’attenzione del pubblico, coinvolgendolo. Nike ha realizzato quello che mi piace definire un evento di #BrandTainment su vari livelli, uno consustanziale all’altro:
- Buzz Marketing: si è tanto discusso dell’evento, man mano che esso si avvicinava, grazie alla diffusione di video, foto e hashtag sui social media: l’entusiasmo era alle stelle – e non solo tra gli sportivi professionisti – sia prima che dopo l’evento, anche se il culmine è stato raggiunto durante la diretta su Facebook. Il messaggio di Nike ha, in un certo senso, dato la carica a molti.
- Storytelling: l’idea è stata quella di raccontare una storia, una storia di passione sportiva che accendesse l’attesa per l’evento: Nike è un marchio che, storicamente, si lega alla passione per lo sport – e non potrebbe essere altrimenti – quindi la storia raccontata è stata anche la storia del brand e i valori insiti nel messaggio sono i valori che la compagnia da sempre ha fatto suoi.
- Brand Journalism: scienza, tecnologia, storia dello sport. Dalle condizioni fisiche e climatiche all’abbigliamento dell’atleta, niente è stato trascurato: informazione di qualità per un pubblico selezionato di appassionati. Lo scopo? Renderlo competente, in grado di prendere la scelta che si pone alla fine del percorso: acquistare un prodotto nuovo – le nuove Nike Zoom – nella piena consapevolezza del loro valore aggiunto.
L’esperienza fa il prodotto. E lo vende.
Nel caso di Breaking2 la brand experience viene condivisa dallo spettatore che segue la genesi dell’evento e del prodotto – creato per l’atleta e in ragione delle sue caratteristiche – e ne prova gli effetti, per così dire, quasi sulla sua pelle. Il risultato è che il futuro acquirente conosce già le specifiche caratteristiche del prodotto stesso, ne apprezza il valore – quando viene usato dagli atleti per compiere un’impresa straordinaria – e lo fa con tutto l’entusiasmo di chi è partecipe di un evento emozionante. Questo, in poche parole, vuol dire una cosa sola: Nike ha già ratificato la validità di un prodotto, prima ancora di metterlo sul mercato.
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